Discussione:
Jonathan Wilson - Gentle Spirit
(troppo vecchio per rispondere)
Altura Do Sol
2011-08-28 14:05:35 UTC
Permalink
Al primo impatto mi risulta assai.
Fortuna le recensioni di Bertoncelli a salvare il panorama! :-)
---

Uno dei più bei dischi dell’annata mi fa venire l’orticaria. Odi e at
amo, catullianamente, questi (non più tanto) ragazzi del nostro tempo
che cercano rifugio dalle intemperie dell’attualità con appassionate
fughe indietro nel tempo, verso quegli anni 60 e 70 che sembrano un
perfetto, accogliente shelter from the storm. Jonathan Wilson è del
1974, quindi gli anni che venera e struggentemente rievoca non li ha
vissuti. Però li ha studiati, li ha assaporati golosamente con la lingua
dell’amore e della nostalgia e qui ne propone una personale
trasfigurazione: dolce inquietante irritante irresistibile, com’è nei
casi migliori di questi “banditi del tempo”, per dirla come Terry
Gilliam, che sempre più di frequente incrociano la nostra strada (ne
abbiamo parlato a lungo a proposito dei Fleet Foxes).

Prendi la canoa della tua mente, scivoli per le acque chete di un disco
lungo ma non affaticante, e tra gli spruzzi di chitarra e i luminosi
vapori di tastiere ed elettronica gentile intravvedi un mondo favoloso
che ti chiama con il canto delle sirene: Crosby, Stills & Nash, i Pink
Floyd, i Led Zeppelin del terzo LP, Neil Young con i Crazy Horse, gli
Spirit di Randy California. Detesti la nostalgia però ti vengono dubbi.
Perché no? In fondo non è un delitto tornare a quelle città fantasma e
vedere se c’è ancora dell’oro nelle miniere abbandonate un giorno, after
the goldrush. Wilson è un bravo cercatore, o forse solo un illusionista;
quando fa balenare pepite come Desert Raven o Woe Is Me sembra che il
tempo si sia fermato e non bastano due, tre, quattro ascolti per
chiarire se quella canzone la conoscevi già o è solo la naturale
proiezione di tanti temi classici archiviati nel juke box della memoria.

Wilson doveva debuttare come solista nel 2007, aveva già un album pronto
ma l’ha soffocato nel cassetto. Ha preferito fare altro e guadagnarsi
una fama di culto collaborando con emergenti come i Dawes e vecchi
santoni come Costello, Jackson Browne, Robbie Robertson. Ora è il tempo.
Ha lavorato per lo più in solitudine, nel vecchio studio di Laurel
Canyon (ecco un altro mito amato e rievocato) e in quello nuovo di Echo
Park, e alla fine ha disegnato questo fine tratteggio di tredici brani
per un’ora e venti di musica – un doppio LP di quelli di una volta. Ci
sono poco rock e molti sogni, passi felpati, sonnambulismo sul filo teso
del passato: le canzoni sono lunghe, dieci minuti e oltre, e le
divagazioni sempre bene accette, e code che non finiscono mai.
Registrato in analogico, naturalmente, “perché così è meno grezzo, e
crea una bellezza speciale”.

Sarà un caso dei prossimi mesi. Credo che di Wilson sentiremo parlare a
lungo, anche se non mancano gli scettici ed è meno malizioso di quel che
sembri chi riduce l’ascolto di un album così a un trattamento
terapeutico: “una seduta di riflessologia più una modica dose di
diazepam”.

di Riccardo Bertoncelli
Altura Do Sol
2011-08-28 14:06:45 UTC
Permalink
Post by Altura Do Sol
Al primo impatto mi risulta assai.
Fortuna le recensioni di Bertoncelli a salvare il panorama! :-)
---
Uno dei più bei dischi dell’annata mi fa venire l’orticaria. Odi e
Leggo tutti disegnini, provo così:

---

Uno dei più bei dischi dell’annata mi fa venire l’orticaria. Odi e at
amo, catullianamente, questi (non più tanto) ragazzi del nostro tempo
che cercano rifugio dalle intemperie dell’attualità con appassionate
fughe indietro nel tempo, verso quegli anni 60 e 70 che sembrano un
perfetto, accogliente shelter from the storm. Jonathan Wilson è del
1974, quindi gli anni che venera e struggentemente rievoca non li ha
vissuti. Però li ha studiati, li ha assaporati golosamente con la lingua
dell’amore e della nostalgia e qui ne propone una personale
trasfigurazione: dolce inquietante irritante irresistibile, com’è nei
casi migliori di questi “banditi del tempo”, per dirla come Terry
Gilliam, che sempre più di frequente incrociano la nostra strada (ne
abbiamo parlato a lungo a proposito dei Fleet Foxes).

Prendi la canoa della tua mente, scivoli per le acque chete di un disco
lungo ma non affaticante, e tra gli spruzzi di chitarra e i luminosi
vapori di tastiere ed elettronica gentile intravvedi un mondo favoloso
che ti chiama con il canto delle sirene: Crosby, Stills & Nash, i Pink
Floyd, i Led Zeppelin del terzo LP, Neil Young con i Crazy Horse, gli
Spirit di Randy California. Detesti la nostalgia però ti vengono dubbi.
Perché no? In fondo non è un delitto tornare a quelle città fantasma e
vedere se c’è ancora dell’oro nelle miniere abbandonate un giorno, after
the goldrush. Wilson è un bravo cercatore, o forse solo un illusionista;
quando fa balenare pepite come Desert Raven o Woe Is Me sembra che il
tempo si sia fermato e non bastano due, tre, quattro ascolti per
chiarire se quella canzone la conoscevi già o è solo la naturale
proiezione di tanti temi classici archiviati nel juke box della memoria.

Wilson doveva debuttare come solista nel 2007, aveva già un album pronto
ma l’ha soffocato nel cassetto. Ha preferito fare altro e guadagnarsi
una fama di culto collaborando con emergenti come i Dawes e vecchi
santoni come Costello, Jackson Browne, Robbie Robertson. Ora è il tempo.
Ha lavorato per lo più in solitudine, nel vecchio studio di Laurel
Canyon (ecco un altro mito amato e rievocato) e in quello nuovo di Echo
Park, e alla fine ha disegnato questo fine tratteggio di tredici brani
per un’ora e venti di musica – un doppio LP di quelli di una volta. Ci
sono poco rock e molti sogni, passi felpati, sonnambulismo sul filo teso
del passato: le canzoni sono lunghe, dieci minuti e oltre, e le
divagazioni sempre bene accette, e code che non finiscono mai.
Registrato in analogico, naturalmente, “perché così è meno grezzo, e
crea una bellezza speciale”.

Sarà un caso dei prossimi mesi. Credo che di Wilson sentiremo parlare a
lungo, anche se non mancano gli scettici ed è meno malizioso di quel che
sembri chi riduce l’ascolto di un album così a un trattamento
terapeutico: “una seduta di riflessologia più una modica dose di
diazepam”.

di Riccardo Bertoncelli
Altura Do Sol
2011-08-28 14:18:28 UTC
Permalink
Il 28/08/2011 16.06, Altura Do Sol ha scritto:

http://www.myword.it/rock/reviews/5319
memristor
2011-08-28 19:24:27 UTC
Permalink
com’è nei casi migliori di questi “banditi del tempo”, per dirla come
Terry Gilliam
Un altro effetto analogo, per altri versi, lo si ha con il David Kilgour
& the Heavy Eights "Left by Soft", un mix ondivago di paisley quasi Rain
Parade/Chris Cacavas - ma anche un po' Felt seconda fase - con attimi
alla Zuma di Neil Young (c'è giusto un assolo 'zumiano' da urlo
catafratto al centro inerme di 'Diamond Mine').

[Concordo inoltre con la buona vena dell'ultimo Bertoncelli, che bene ha
fatto a soffermarsi sull'ultimo Antlers "Burst Apart", con quella
"Rolled Together" che, specie udita sul tubo dal vivo, dà brividi
indescrivibili]

m.
--

Pulled together but about to burst apart,
Rolled together with a burning paper heart
Altura Do Sol
2011-08-29 14:26:34 UTC
Permalink
Post by memristor
com’Ú nei casi migliori di questi “banditi del tempo”, per
dirla come Terry Gilliam
Un altro effetto analogo, per altri versi, lo si ha con il David Kilgour
& the Heavy Eights "Left by Soft", un mix ondivago di paisley quasi Rain
Parade/Chris Cacavas - ma anche un po' Felt seconda fase - con attimi
alla Zuma di Neil Young (c'Ú giusto un assolo 'zumiano' da urlo
catafratto al centro inerme di 'Diamond Mine').
Tempo addietro segnalai Guntram Pauli - Rock Requiem. Conosci? Una cosa
tedesca pittosto anomala della quale non ne so molto ma che mi risultò
molto interssante, sempre vintage e che mi vado a riascoltare.

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