Marcello M.
2010-09-26 12:35:34 UTC
Io scrivevo qui dentro tempo fa. Ero... sono... un amico dello Stanzani.
Ogni tanto saltava fuori una discussione che nelle sue parti interessanti mi
appassionava e che vorrei riproporre in seguito a un'esperienza capitatami
ultimamente.
Sto effettuando un ciclo di interviste a ragazzi ormai "in età da marito".
Sì, insomma, non mi veniva da scrivere "in età per trovare una moglie". Sto
incontrando neolaureati psicologi, camerieri, insegnanti, negozianti,
insomma, una fauna compositissima: se c'è un elemento che li accomuna è il
fatto di declinare una differenza oserei dire antropologica, esistenziale,
che prende le mosse a partire dalla musica che ascoltano. Si ritrovano a
sottolineare due cose, essenzialmente:
1 che nella loro città, Bergamo, la misura della decadenza è data dal fatto
che vi siano pochissimi spazi per fare musica dal vivo, che si organizzano
concerti con artisti seri a ogni morte di papa e che il resto dell'anno il
massimo che si possono beccare sono "Ramazzotti o la Pausini";
2 un elemento importante di giudizio sulle persone che si trovano via via di
fronte, è la musica che ascoltano. Chi si ferma alla musica da classifica,
in generale è ritenuto un individuo che fatica ad andare oltre la minestra
che gli viene cucinata dal comparto industrial-culturale del "sistema", chi
invece sa chi sono gli Oneida e ha nell'ipod la collezione completa dei loro
lavori è uno che dimostra indipendenza intellettuale e capacità di andare
oltre le apparenze
Questa cosa non è percepita solamente da chi ha una band e che magari aspira
ad entrare nel novero delle cose ascoltate dai propri concittadini, ma vale
anche per quelli che sono "solamente" fruitori di musica. Alla base di
tutto, dunque, c'è una specie di "ausculto ergo sum" - sorry, ma non ho idea
di come si dica ascoltare in latino.
La musica per tanti giovani che hanno come valore la cura e la coltivazione
di una dimensione impegnata, introspettiva, intellettuale nelle proprie
vite, viene considerata quasi come la regina di tutte le arti e la misura
di - se non tutte - moltissime cose.
Se non è troppo pallosa mi piacerebbe veder nascere una discussione
incrociata e multidisciplinare su quest'argomento - da qui il crosspost.
Personalmente, da musicista che però non fa il musicista per guadagnare il
proprio pane, ho sempre pensato che la musica fosse un'arte che si collega
più alla pancia delle persone piuttosto che al loro intelletto, perché ha
tantissimo a che fare con l'emozione e con quell'aspetto della fruizione
artistica che non prende le mosse dal valore e dalla profondità del
contenuto inteso come "messaggio" (se il cielo in una stanza fosse "mi viene
il mal de panza", all'orecchio di un ascoltatore non italiano sarebbe uguale
e ugualmente bella).
Se dunque devo giudicare una persona e la sua apertura nei confronti del
reale, la serietà della sua ricerca intellettiva e culturale, quasi quasi mi
vien più da guardare alla sua libreria o alla sua collezione di dvd che non
alla sua collezione di album musicali. Anche perché quando diciamo musica e
diciamo locali che mancano in città per fare musica, poi si intende quasi
sempre un ambito particolare della musica leggera contemporanea, ma conosco
pochi ascoltatori a tutto tondo anche tra gli amici più preparati: insomma,
magari uno conosce l'ultimo dei gruppi indipendenti inglesi, ma la sua
conoscenza di musica classica, o jazz, o folkloristica locale, è ridotta al
lumicino.
Le generalizzazioni non mi piacciono, ma da sempre si cerca di capire quali
siano le peculiarità delle varie arti e quali siano i loro limiti. Così, per
amor di generalità mi vien da dire che se sono alla ricerca di risposte alle
domande fondamentali, le trovo più nella letteratura e nella filosofia
piuttosto che nella musica, se cerco delle storie - fedeli o un po' meno
fedeli al reale - che sappiano illustrare, scavare e quant'altro nelle
situazioni e nelle motivazioni personali o di gruppo che spingono ad agire
mi rivolgo al cinema o alla letteratura... la musica ha una sua grandissima
dignità e un suo grandissimo valore estetico, compone la colonna sonora
delle nostre vite, poco o niente ci emoziona o ci trascina come il giro di
accordi azzeccato di una canzone. Ma secondo voi che oggi guardiamo a una
rockstar per avere un'illuminazione nelle nostre vite, una denuncia sociale,
una risposta, e non a un'opera filosofica o letteraria o (...), è esso
stesso sintomo del decadimento contemporaneo che un po' in tutti gli aspetti
della vita siam tanto solerti nel denunciare?
Ogni tanto saltava fuori una discussione che nelle sue parti interessanti mi
appassionava e che vorrei riproporre in seguito a un'esperienza capitatami
ultimamente.
Sto effettuando un ciclo di interviste a ragazzi ormai "in età da marito".
Sì, insomma, non mi veniva da scrivere "in età per trovare una moglie". Sto
incontrando neolaureati psicologi, camerieri, insegnanti, negozianti,
insomma, una fauna compositissima: se c'è un elemento che li accomuna è il
fatto di declinare una differenza oserei dire antropologica, esistenziale,
che prende le mosse a partire dalla musica che ascoltano. Si ritrovano a
sottolineare due cose, essenzialmente:
1 che nella loro città, Bergamo, la misura della decadenza è data dal fatto
che vi siano pochissimi spazi per fare musica dal vivo, che si organizzano
concerti con artisti seri a ogni morte di papa e che il resto dell'anno il
massimo che si possono beccare sono "Ramazzotti o la Pausini";
2 un elemento importante di giudizio sulle persone che si trovano via via di
fronte, è la musica che ascoltano. Chi si ferma alla musica da classifica,
in generale è ritenuto un individuo che fatica ad andare oltre la minestra
che gli viene cucinata dal comparto industrial-culturale del "sistema", chi
invece sa chi sono gli Oneida e ha nell'ipod la collezione completa dei loro
lavori è uno che dimostra indipendenza intellettuale e capacità di andare
oltre le apparenze
Questa cosa non è percepita solamente da chi ha una band e che magari aspira
ad entrare nel novero delle cose ascoltate dai propri concittadini, ma vale
anche per quelli che sono "solamente" fruitori di musica. Alla base di
tutto, dunque, c'è una specie di "ausculto ergo sum" - sorry, ma non ho idea
di come si dica ascoltare in latino.
La musica per tanti giovani che hanno come valore la cura e la coltivazione
di una dimensione impegnata, introspettiva, intellettuale nelle proprie
vite, viene considerata quasi come la regina di tutte le arti e la misura
di - se non tutte - moltissime cose.
Se non è troppo pallosa mi piacerebbe veder nascere una discussione
incrociata e multidisciplinare su quest'argomento - da qui il crosspost.
Personalmente, da musicista che però non fa il musicista per guadagnare il
proprio pane, ho sempre pensato che la musica fosse un'arte che si collega
più alla pancia delle persone piuttosto che al loro intelletto, perché ha
tantissimo a che fare con l'emozione e con quell'aspetto della fruizione
artistica che non prende le mosse dal valore e dalla profondità del
contenuto inteso come "messaggio" (se il cielo in una stanza fosse "mi viene
il mal de panza", all'orecchio di un ascoltatore non italiano sarebbe uguale
e ugualmente bella).
Se dunque devo giudicare una persona e la sua apertura nei confronti del
reale, la serietà della sua ricerca intellettiva e culturale, quasi quasi mi
vien più da guardare alla sua libreria o alla sua collezione di dvd che non
alla sua collezione di album musicali. Anche perché quando diciamo musica e
diciamo locali che mancano in città per fare musica, poi si intende quasi
sempre un ambito particolare della musica leggera contemporanea, ma conosco
pochi ascoltatori a tutto tondo anche tra gli amici più preparati: insomma,
magari uno conosce l'ultimo dei gruppi indipendenti inglesi, ma la sua
conoscenza di musica classica, o jazz, o folkloristica locale, è ridotta al
lumicino.
Le generalizzazioni non mi piacciono, ma da sempre si cerca di capire quali
siano le peculiarità delle varie arti e quali siano i loro limiti. Così, per
amor di generalità mi vien da dire che se sono alla ricerca di risposte alle
domande fondamentali, le trovo più nella letteratura e nella filosofia
piuttosto che nella musica, se cerco delle storie - fedeli o un po' meno
fedeli al reale - che sappiano illustrare, scavare e quant'altro nelle
situazioni e nelle motivazioni personali o di gruppo che spingono ad agire
mi rivolgo al cinema o alla letteratura... la musica ha una sua grandissima
dignità e un suo grandissimo valore estetico, compone la colonna sonora
delle nostre vite, poco o niente ci emoziona o ci trascina come il giro di
accordi azzeccato di una canzone. Ma secondo voi che oggi guardiamo a una
rockstar per avere un'illuminazione nelle nostre vite, una denuncia sociale,
una risposta, e non a un'opera filosofica o letteraria o (...), è esso
stesso sintomo del decadimento contemporaneo che un po' in tutti gli aspetti
della vita siam tanto solerti nel denunciare?